Oggi, prima di questo esercizio, ho rivisitato le mie riflessioni sui nostri livelli di comprensione. È vero che evolviamo o addirittura nasciamo con differenze per nulla sottili; devo chiarire che non si tratta di essere migliori o peggiori, ma piuttosto di individui diversi che, nel corso della loro vita, esplorano, apprendono, sviluppano o meno, capacità che faranno sì che la loro esistenza segua percorsi diversi. In un certo senso, la mescolanza umana sarebbe più egualitaria se ci osservassimo da punti di vista diversi, dove le nostre differenze, una volta valorizzate, farebbero sì che la forza individuale di ogni persona si esprima in caratteristiche distinte che, a causa di difficoltà e motivi vari, spesso rimangono cancellate per tutta la vita. Osserviamo, ad esempio, che un medico è migliore di tutti gli altri che non esercitano questa professione, lo stesso vale per artisti, commercianti, politici e pensatori, che possono essere eccellenti in ciò che fanno eppure non essere in grado di posare un mattone, scavare un fossato o cucinare qualcosa di banale; ed è con queste dicotomie che stimolerò la curiosità nel testo di oggi; anche se questo non è il motto dell'esercizio.
Il filosofo ha la fama di essere un interrogatore, difende alcune tesi e, raramente, ciò che potrebbe essere un difetto, dovuto all'orgoglio o alla mancanza di apertura, di solito non cambia il modo in cui elabora le sue idee, soprattutto nel suo crepuscolo. Ciò che accade è che è un istigatore, e un buon artista del pensiero, non un esibizionista – che chiaramente lo fa per mettersi in mostra –; anche se formula le domande, può fare poco per coloro che non se ne rendono conto; perché ha imparato a conoscere il tempo della maturazione umana o semplicemente perché comprende la diversità umana. Se è altruista, le usa non solo per propagare le sue idee, ma cerca anche di lavorare con scopi e strumenti che risveglino nell'uno o nell'altro la vena di curiosità sopita nell'infanzia, che nella maturità può rinascere singolare, migliorata, sana, elevata...
Fino a una certa età, i bambini sono curiosi per natura.
Pochi lo considerano, estendendo questo aspetto oltre la fase prematura
scoperta, senza comprendere che questa condizione non dovrebbe mai essere
circoscritta senza una valutazione precisa. Così, all'età di, non so, tra i
sette e i dieci anni, forse noi genitori, per pigrizia, per comodità, o per lo
stato di agitazione e urgenza in cui viviamo, non prestiamo attenzione al fatto
che: gradualmente, i bambini tendono a ridurre il loro interrogarsi; da adulti
disattenti, non ci preoccupiamo più della naturale curiosità, diventata comune
e insignificante, e anzi la ostacoliamo. Non è raro che i genitori condannino i
figli curiosi. Non dimentichiamo che ci sono due fasi della curiosità, ma sta
ai genitori capire che spesso la curiosità dei loro figli porta con sé un
autentico desiderio nascosto di scoprire.
Potrebbe essere per questo che abbiamo perso il vivo e
ardente desiderio di scoprire, danneggiando l'audace, o persino coraggiosa e
persino impertinente volontà di mettere in discussione? Quando non per vergogna
o imbarazzo, lo dirottiamo esclusivamente verso i nostri interessi commerciali,
economici o, peggio ancora, acquisiti, accettati per imposizione e convenzione!
Abbiamo già commentato in precedenza che non c'è nulla di male nel ricercare
un'area, una cattedra, una disciplina, un'università, e nel progredire o
persino diventare esperti; ciò che stiamo insinuando è che la dedizione totale,
senza nemmeno considerare le Grandi Verità o i Grandi Misteri dell'esistenza,
possa, a un certo punto, forse troppo tardi, essere consapevolmente istigata dalle
Nobili Verità: il dubbio sulla dedizione esigente, sulla resa esclusiva, si fa
sentire.
Prestando un po' di attenzione a ciò che accade intorno a
noi, con un minimo di attenzione, allontanandoci dal grande, spesso disastroso
vortice che ci tiene sopraffatti, persino goffi e completamente sepolti, è
difficile, ma possibile, osservare che fuori palpita qualcosa di più; allora
perché tutti i segnali che ci sono stati dati per proseguire con le indagini
non hanno portato a nulla? Come abbiamo potuto abbandonare la sana curiosità
dell'infanzia, o meglio ancora; quando abbiamo perso la sana curiosità
dell'infanzia in cambio della vana illusione adulta?
Nella vita, siamo passeggeri autodidatti; per quanto
possiamo convenire, sopravviviamo come se avessimo preso tre mesi di lezioni di
nuoto, solo per restare a galla; ed è così che viviamo le nostre vite: anche se
siamo stanchi di lottare per la nostra mancanza di preparazione, sacrifichiamo
poco o nulla per ottenere un cambiamento, e continuiamo; forse, in questo stato
di torpore, aggrappandoci solo per essere tra gli eletti del momento. Ecco una
domanda: dove sono i pochi che hanno continuato a indagare l'esistenza? Non
possiamo nemmeno vederli, tanto meno capire che esistono, o, nei rari momenti
in cui li vediamo: preferiamo giudicarli strani. C'è tempo per cercarli e
rimanerci? C'è sempre. Quanto coraggio hai per risolvere questo problema?
Questa settimana mi sono imbattuto in una domanda molto
semplice in un articolo sul cambiamento delle abitudini, su causa ed effetto e
cose del genere: "Come verrò ricompensato per le mie buone azioni?".
Questa domanda è piuttosto triste. Prima di tutto, devo ammettere che ha senso
per molte persone, dopotutto, se non lo avesse, non verrebbe affrontato, e ammiro
chi lo ha fatto; perché in qualche modo può fungere da innesco per una svolta
per molti di coloro che lo ritengono pertinente.
D'altra parte, ciò che mi infastidisce è il fatto che le
persone, sempre di più, pensino solo alla ricompensa, a ciò che posso ottenere,
a come posso fare bene facendo qualcosa di buono, ad esempio, quando la cosa
giusta da fare, quando si tratta di fare del bene agli altri, indipendentemente
dal fatto che si tratti di qualcosa che verrà restituito, dovrebbe sempre
accadere senza alcuna intenzione particolare. Prendendo come esempio il
professionista dedicato: donarsi dovrebbe diventare una pratica che è
l'obiettivo di un atleta di alto livello e ad alte prestazioni; perché, quando
agisce, non pensa a ciò che sta facendo, la sua dedizione all'eccellenza è
stata così impegnativa che, in quel momento... lo fa e basta.
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