domingo, 27 de abril de 2025

Ravviva la tua curiosità infantile

 







Oggi, prima di questo esercizio, ho rivisitato le mie riflessioni sui nostri livelli di comprensione. È vero che evolviamo o addirittura nasciamo con differenze per nulla sottili; devo chiarire che non si tratta di essere migliori o peggiori, ma piuttosto di individui diversi che, nel corso della loro vita, esplorano, apprendono, sviluppano o meno, capacità che faranno sì che la loro esistenza segua percorsi diversi. In un certo senso, la mescolanza umana sarebbe più egualitaria se ci osservassimo da punti di vista diversi, dove le nostre differenze, una volta valorizzate, farebbero sì che la forza individuale di ogni persona si esprima in caratteristiche distinte che, a causa di difficoltà e motivi vari, spesso rimangono cancellate per tutta la vita. Osserviamo, ad esempio, che un medico è migliore di tutti gli altri che non esercitano questa professione, lo stesso vale per artisti, commercianti, politici e pensatori, che possono essere eccellenti in ciò che fanno eppure non essere in grado di posare un mattone, scavare un fossato o cucinare qualcosa di banale; ed è con queste dicotomie che stimolerò la curiosità nel testo di oggi; anche se questo non è il motto dell'esercizio.









Il filosofo ha la fama di essere un interrogatore, difende alcune tesi e, raramente, ciò che potrebbe essere un difetto, dovuto all'orgoglio o alla mancanza di apertura, di solito non cambia il modo in cui elabora le sue idee, soprattutto nel suo crepuscolo. Ciò che accade è che è un istigatore, e un buon artista del pensiero, non un esibizionista – che chiaramente lo fa per mettersi in mostra –; anche se formula le domande, può fare poco per coloro che non se ne rendono conto; perché ha imparato a conoscere il tempo della maturazione umana o semplicemente perché comprende la diversità umana. Se è altruista, le usa non solo per propagare le sue idee, ma cerca anche di lavorare con scopi e strumenti che risveglino nell'uno o nell'altro la vena di curiosità sopita nell'infanzia, che nella maturità può rinascere singolare, migliorata, sana, elevata...










Fino a una certa età, i bambini sono curiosi per natura. Pochi lo considerano, estendendo questo aspetto oltre la fase prematura scoperta, senza comprendere che questa condizione non dovrebbe mai essere circoscritta senza una valutazione precisa. Così, all'età di, non so, tra i sette e i dieci anni, forse noi genitori, per pigrizia, per comodità, o per lo stato di agitazione e urgenza in cui viviamo, non prestiamo attenzione al fatto che: gradualmente, i bambini tendono a ridurre il loro interrogarsi; da adulti disattenti, non ci preoccupiamo più della naturale curiosità, diventata comune e insignificante, e anzi la ostacoliamo. Non è raro che i genitori condannino i figli curiosi. Non dimentichiamo che ci sono due fasi della curiosità, ma sta ai genitori capire che spesso la curiosità dei loro figli porta con sé un autentico desiderio nascosto di scoprire.









Potrebbe essere per questo che abbiamo perso il vivo e ardente desiderio di scoprire, danneggiando l'audace, o persino coraggiosa e persino impertinente volontà di mettere in discussione? Quando non per vergogna o imbarazzo, lo dirottiamo esclusivamente verso i nostri interessi commerciali, economici o, peggio ancora, acquisiti, accettati per imposizione e convenzione! Abbiamo già commentato in precedenza che non c'è nulla di male nel ricercare un'area, una cattedra, una disciplina, un'università, e nel progredire o persino diventare esperti; ciò che stiamo insinuando è che la dedizione totale, senza nemmeno considerare le Grandi Verità o i Grandi Misteri dell'esistenza, possa, a un certo punto, forse troppo tardi, essere consapevolmente istigata dalle Nobili Verità: il dubbio sulla dedizione esigente, sulla resa esclusiva, si fa sentire.










Prestando un po' di attenzione a ciò che accade intorno a noi, con un minimo di attenzione, allontanandoci dal grande, spesso disastroso vortice che ci tiene sopraffatti, persino goffi e completamente sepolti, è difficile, ma possibile, osservare che fuori palpita qualcosa di più; allora perché tutti i segnali che ci sono stati dati per proseguire con le indagini non hanno portato a nulla? Come abbiamo potuto abbandonare la sana curiosità dell'infanzia, o meglio ancora; quando abbiamo perso la sana curiosità dell'infanzia in cambio della vana illusione adulta?










Nella vita, siamo passeggeri autodidatti; per quanto possiamo convenire, sopravviviamo come se avessimo preso tre mesi di lezioni di nuoto, solo per restare a galla; ed è così che viviamo le nostre vite: anche se siamo stanchi di lottare per la nostra mancanza di preparazione, sacrifichiamo poco o nulla per ottenere un cambiamento, e continuiamo; forse, in questo stato di torpore, aggrappandoci solo per essere tra gli eletti del momento. Ecco una domanda: dove sono i pochi che hanno continuato a indagare l'esistenza? Non possiamo nemmeno vederli, tanto meno capire che esistono, o, nei rari momenti in cui li vediamo: preferiamo giudicarli strani. C'è tempo per cercarli e rimanerci? C'è sempre. Quanto coraggio hai per risolvere questo problema?










Questa settimana mi sono imbattuto in una domanda molto semplice in un articolo sul cambiamento delle abitudini, su causa ed effetto e cose del genere: "Come verrò ricompensato per le mie buone azioni?". Questa domanda è piuttosto triste. Prima di tutto, devo ammettere che ha senso per molte persone, dopotutto, se non lo avesse, non verrebbe affrontato, e ammiro chi lo ha fatto; perché in qualche modo può fungere da innesco per una svolta per molti di coloro che lo ritengono pertinente.










D'altra parte, ciò che mi infastidisce è il fatto che le persone, sempre di più, pensino solo alla ricompensa, a ciò che posso ottenere, a come posso fare bene facendo qualcosa di buono, ad esempio, quando la cosa giusta da fare, quando si tratta di fare del bene agli altri, indipendentemente dal fatto che si tratti di qualcosa che verrà restituito, dovrebbe sempre accadere senza alcuna intenzione particolare. Prendendo come esempio il professionista dedicato: donarsi dovrebbe diventare una pratica che è l'obiettivo di un atleta di alto livello e ad alte prestazioni; perché, quando agisce, non pensa a ciò che sta facendo, la sua dedizione all'eccellenza è stata così impegnativa che, in quel momento... lo fa e basta.








001.ac cqe








sábado, 19 de abril de 2025

Visão holística

 





“Grandes Forças Evolutivas do Universo”





“Nossa vida deve se mover em direção às mesmas

das Grandes Forças Evolutivas do Universo”

 











Uma das principais fontes de sofrimento humano é não compreender algo essencial. Por desconhecimento, acabamos tornando o que é fugaz, o que é secundário, como um propósito maior, e quando o desespero bate à porta, falta-nos o preparo adequando para lidarmos com o problema; e por quê? Porque até então estivemos voltados ao que é periférico ao existir real.



*









A primeira vez que ouvi falar sobre holística foi na SBEE — Sociedade Brasileira de Estudos Espíritas, em Curitiba, nos trabalhos de psicopictografia. Com não mais de 25 anos; gostei da palavra, porém entendi muito limitadamente o seu significado. A uso com certa frequência em meus textos, mas com cuidado em conversas, pois geralmente tenho que dar explicações sobre ela, portanto escolho as palavras; pois saber da minha dificuldade em articular e falar compassadamente atrapalha ainda mais; afora o entendimento de pertencer a classe autodidata, diametralmente oposta à dos filólogos.










Esta semana a encontrei novamente em uma matéria da Revista Sophia. Contagiado com a ideia do autor —  Radha Burnier —, resolvi fazer um exercício de escrita misturando os assuntos. Tenho sido negligente com esse meu exercício dominical, porém é por uma boa causa. Estou trabalhando uma matéria, quase um estudo, sobre um amigo que quer se livrar da doença do alcoolismo, e junto, parar de fumar, se valendo de meios pouco ortodoxos, daí entendi por bem registrá-lo. Infelizmente surgiu, ou foi evidenciado um outro problema bastante sério e que é recorrente na saúde pública: uma espécie de fobia — hoje estão usando a expressão síndrome de tal e tal coisa —; que ele sempre sentiu e que se acentuou com a abstinência, aumentando em muito a minha aplicação, principalmente de digitação; acontece que o trabalho, inegavelmente, se mostrará ainda mais rico em detalhes, me obrigando ao esforço.










Falando friamente; defino holística como “abrangência”. Poderia considera-la também como a visão periférica do estudioso, lembro aqui do olho do camaleão, embora não tenha, no Reino Animal, a melhor visão, é claro que essa é uma explicação rasa, sem falar que particularmente considero essa matéria sob vieses que abarcam um longo caminho das minhas pesquisas pessoais, portanto, no bojo da expressão, há muito mais do que uma mera descrição didática.










A holística, como um conceito prático à evolução do homem, não é bem vista em muitas, se não, em todas os grupos sociais contrários às buscas abertas, inclusivas, fora dos ritos pré-estabelecidos. Afinal eles focam o tolhimento, o fechado, portanto: a obtusidade do homem centrado em seus dogmas e convenções; já o ser holístico busca a expansão, a descoberta; é ousado dentro de certa razoabilidade crítica, no entanto prudente às ações que envolvem todos os membros da coletividade, respeitando-os com muito mais propriedades que os próprios que pouco se dão ao respeito; e aqui entra o mote desse exercício e o que fez com que viesse a destilar entendimentos próprios sobre as diferenças entre o homem obtuso e o homem holístico.










Como colocado: o indivíduo privado não respeita nem mesmo a si próprio, já o indivíduo que pensa e se detém sobre as ocorrências; sobre o porquê das ações e o princípio das coisas; tem respeito suficiente para interagir com todos aqueles que são encaixados em seu caminho, pois esse, uma vez que estudou, sabe que a vida vai muito além do simples coexistir, entende que há mais; tanto mais que a sábia expressão: “há muito mais coisas entre o céu e a terra do que supõe sua vã filosofia”, que não aponta nada muito maior que uma cutícula do que realmente há além da nossa percepção, e ainda agora, essa afirmação superlativa, não passa também de uma cutícula frente aos meta-versos e a infinitude.










Por que essa megalomania da minha parte? Digo que não é ser megalômano acreditar que o “há mais” é indizível, inominável, inumerável, e sim declarar que me descobri ciente apenas dessa verdade, e isso é o mesmo que um adolescente com média “A+” saber sobre o papel da ciência, enquanto a maioria dos demais com notas “C’s” pouco compreendem sobre as aplicações da matéria, ou seja; isso não faz do aluno que se destaca, um cientista.










Porém o que estudantes de média “A+” fazem? Estudam, se formam em boas faculdades e em geral, terão ótimas carreiras e serão aclamados e até deixarão seus nomes em ruas e bustos nas praças das cidades; e o que tem isso a ver com a visão macro? Respondemos que na maioria esmagadora das vezes, eles estarão confinados — e até mesmo privados — às suas escolhas profissionais. O que é ótimo quando observado sob a visão macro da infinitude da alma, porém o assunto que me trouxe até aqui busca jogar luz sobre o que é essencial X o que é secundário (é essencial o profissionalismo sério, porém ele é louvável quando tange do mero didatismo comercial/profissional rompendo essas barreiras e fazendo com que, seu privilegiado aprendizado trace conjuntamente um caminho paralelo altruísta: onde temos então, o essencial.)










A matéria de Burnier, chama a atenção para nosso comportamento em relação aos outros. Somos refratários, nossa tendência social é refratária, relutante, isto é, somos gratuitamente seletivos. Vou colocar de forma amena — com os costumeiros vieses subliminares: talvez, devido ao nosso instinto natural de sobrevivência: ao primeiro encontro casual, agimos como que, armados, contra uma pessoa ou um grupo delas e, à medida que os encontros evoluem, abandonamos esse sentimento e iniciamos considerações baseados em parâmetros próprios ou sociais, sem os cuidados holísticos que a as avaliações requerem, isto é, até onde entendemos ser prematuro julgar as pessoas sem levar em conta tanto as nossas quanto as limitações terceiras e a carga de vida que cada um de nós carrega em um bojo incomensurável; importado de outras vidas, ou seja, quando nos permitimos ficar no que é secundário (obtuso) abandonamos o que é essencial (holístico).



*







Nossa tentativa maior aqui, com esta construção de palavras: é alinhavar ideias prontas a eventuais possibilidades; desconstruindo um ou outro mundo particular inventado, acolhido e aceito por osmose; com o intuito maior de ampliar o número de indivíduos que se interessem por pesquisas e buscas que o levem ao autoconhecimento despertando para uma, obrigatória, final e definitiva, tomada de posse da consciência crítica individual dormente em cada um, onde juntos, uma vez ciente do processo maior de existir e abandonando de uma vez por todas o egoísmo; ao compreender que a única saída para uma vida plena: é nos sensibilizando sobre o dom do auxílio ao próximo, que hiberna em cada um nós.

    







 




“Nossa vida deve se mover em direção às mesmas das

Grandes Forças Evolutivas do Universo”

 







Revista Sophia Nº 114

Matéria: A realização da Harmonia Interior

Por: Radha Burnier











099.ab cqe







sábado, 12 de abril de 2025

Plateau experience

 








A experiência de platô é um conceito desenvolvido pelo psicólogo Abraham Maslow (1908-1970). Maslow acreditava que as pessoas que conseguem ter experiências transcendentes vivem vidas mais saudáveis e plenas.

O que é a experiência de platô?

É um estado de sereno e calmo, diferente da experiência de pico, que pode ser mais emocional

É um estado de consciência que pode ser alcançado através de exercícios, como olhar fixamente para uma flor ou para um ente querido

É um estado de transcendência do tempo e do espaço

É um estado de bem-aventurança serena e cognitiva

Como Maslow chegou ao conceito de experiência de platô?

O termo foi sugerido por U. A. Asrani, um colega indiano de Maslow

Maslow acreditava que a experiência de platô era um resultado natural do envelhecimento

Por que Maslow acreditava na importância da experiência de platô?

Maslow acreditava que a experiência de platô era um estado de libertação do tempo, onde o presente, o passado e o futuro se fundem

Maslow acreditava que a experiência de platô era um estado de iluminação ou despertar








098.ab cqe